Sul blog di Nicola Porro, giornalista ed editorialista che si occupa di economia e finanza, vicedirettore de Il Giornale e volto noto TV, è apparso ieri un duro atto d’accusa sulla gestione Adr dell’aeroporto di Fiumicino. La sua è un’analisi spietata, che merita di essere riportata integralmente e che offre non pochi spunti di riflessione non solo sulla vicenda Aeroporti di Roma ma su tutto il sistema Italia. “In una recente intervista, Benetton ha detto di essere pronto a investire a Fiumicino, se non sbaglio, l’astronomica cifra di 12 miliardi. Ovviamente a condizione che vengano adeguate le tariffe. Basterebbe un decimo per farlo funzionare alla grande. Dopo un anno di pendolarismo, tutti i fine settimana, sulla tratta Milano-Roma, il cuoco è in grado di dirvi che Fiumicino è una buona approssimazione di come funzionano le cose in Italia: male. E la responsabilità non è solo della politica: anche i privati ci mettono del loro. Chi assapora la zuppa da tempo sa bene che da queste parti non ci sono pulsioni anticapitaliste. Ma fatevi 50 fine settimana a Fiumicino e vi renderete conto di come un servizio vitale come l’aeroporto della capitale sia gestito coi piedi. Anzi sia gestito sapendo che non se ne può fare a meno e dunque senza alcun incentivo a miglioralo. E a farlo sono dei privati. Non so se Benetton o Palenzona abbiano mai provato il servizio offerto, ma il loro fallimento è totale. L’alternativa, per chi ha la necessità di fare solo la Roma-Milano, c’è e si chiama treno. Quando anche gli irriducibili, come il cuoco, andranno in stazione, Benetton&Co. si lamenteranno del calo dei ricavi, abbasseranno ancor di più la qualità, e chiederanno sempre maggiori tariffe. Diranno che è colpa della politica, ma il (de)merito è solo loro. Il pessimo funzionamento di un aeroporto come Fiumicino, oltre a danneggiare l’utente, pelato dalle tariffe, danneggia anche il loro principale cliente e cioè l’Alitalia. Ecco, basta vedere i passi da gigante fatti dall’ex compagnia di bandiera per accorgersi di quelli da gambero fatti da Fco (la sigla dello scalo). Sembra un carrozzone pubblico. E lo è. Non fidatevi dei dati sul traffico passeggeri. In un monopolio valgono poco. Bisognerebbe a esempio vedere quanti hanno rinunciato all’aereo o ci rinunceranno, per colpa dell’aeroporto. Vorrebbe, il cuoco, avere una cucina della bellezza di Roma! Non basta Fiumicino per rinunziare a Roma, tanto più che a un turista il supplizio è somministrato una volta nella vita. Avete mai visto un bagno a Fiumicino? O meglio: l’avete mai sentito? In caso affermativo ve lo ricorderete per sempre. Da quante settimane non funziona il microfono per gli annunci del gate B2? E prima del comodo B2 era un altro. Perché ai varchi di sicurezza di Linate nel medesimo giorno le scarpe dello stesso passeggero seminudo non fanno suonare gli allarmi e a Fco sì? «Qua so’ tarati diversi, semo più sensibili», vi dicono gli addetti alla sicurezza. Avete provato a bervi un caffè espresso a Fco? Siete ancora vivi? E le file ai controlli dedicati sulla Roma-Milano? Non parliamo delle attese del pullman quando, come spesso avviene, non si è al finger! Alitalia arriva puntale, ma spesso il ritardo si accumula per il bus dal parcheggio. Lo gestisce Alitalia, gli aeroporti? Boh, ma sarà più facile gestire il traffico e la logistica dei pullman in uno scalo, che dei voli a 10mila metri. All’aeroporto di Kiev c’è il wifi gratis per tutti. A Fco spesso non funziona neanche il farraginoso sistema Linkedin della Freccia Alata. Aspetti l’invio dell’sms e quando finalmente arriva (non si tratta di secondi, ma spesso di decine di minuti) ti devi imbarcare. Ueee non scherziamo con i bagagli: i commuter hanno soprannominato i nastri di Roma, come le forche caudine. Si fanno scommesse non tanto sul tempo di riconsegna dei bagagli, quanto sul loro arrivo. La logistica e la circolazione di taxi e ncc all’esterno deve averla disegnata Jackson Pollock, ma dopo una dose seria di allucinogeni. Più o meno la condizione in cui, si dice, versasse quasi quotidianamente uno dei tanti manager che si sono succeduti a Fiumicino. Succede, più di una volta ogni 50 puntate, che qualche area dei terminal sia senza luce. «A dotto’ deve esse’ scattata» come in quelle famiglie che con tre kilowatt pretendono di avere ferro da stiro, scaldabagno e forno accesi insieme. Una volta anche in Freccia Alata è scattato il contatore: tutti in sala amica, che per l’occasione non è stata così amichevole. Hanno abolito il lustrascarpe e i carica telefoni, ma in compenso gli addetti dell’American Express imperversano da anni e ti offrono la loro carta placcandoti come un pusher farebbe con un tossico ad un rave. Ma questo vale per la parte migliore e nuova dell’aeroporto: il terminal 1. Quello dei voli internazionali, meno utile al pendolare Roma-Milano, è un business case da Harvard dal titolo: «Come una famiglia di successo veneta riesce a sputtanarsi nel giro di una generazione». Dalla curva IS-LM alla curva sud. Si dirà: non è tutta colpa del gestore aeroportuale. Palle. Spesso il costo di un biglietto aereo è inferiore a tasse e tariffe aeroportuali. Queste due ultime cifre sono lì a braccetto: a testimoniare quanto un pessimo imprenditore privato sia molto simile al leviatano statale”.
Da Zuppa di Porro, 5 luglio 2012.