“Dopo il Consiglio Comunale del 26 febbraio è ormai chiaro quale sia il vero timore dell’amministrazione qualora opti per una revoca: dover pagare il mutuo lasciato dal costruttore fallito. Una paura infondata, vediamo perché:
la Convenzione firmata nel 2007, tra il Comune di Fiumicino e il costruttore, contiene al suo interno una parte definita “disciplinare” che fa capo all’art.24. C’è da premettere che la Convenzione è copia esatta della versione Tipo approvata dal legislatore, quindi simile a quelle degli altri piani di zona sparsi per l’Italia.
Non solo, il contenuto della Convenzione Tipo è ben noto anche agli istituti di credito che, per questo tipo di edilizia, debbono risultare oltretutto convenzionati con l’istituzione pubblica erogante l’agevolazione economica, nel caso specifico la Regione Lazio.
In caso di fallimento del costruttore, l’art.24 della Convenzione recita: “l’Amministrazione potrà dichiarare la decadenza[…]e sarà tenuta a corrispondere un indennizzo limitato alla minor somma tra lo speso ed il migliorato, detratte le somme già pagate da eventuali promittenti acquirenti degli alloggi. Questi ultimi avranno in ogni caso diritto ad acquistare gli alloggi compromessi in vendita accollandosi anche la spesa per l’eventuale completamento dei medesimi”.
Leggendo il testo si capisce come si parli di costi di realizzo e tenendo conto che gli attuali residenti hanno già pagato al fallito circa 1,9 mln di anticipi, che lo stesso ha ricevuto dalla Regione Lazio oltre 537.000€ pubblici e che restano da fare almeno mezzo milione di lavori di completamento, quindi avendo ricevuto il fallito già ben oltre il valore di ciò che ha lasciato, in caso di revoca e d’acquisizione al patrimonio dell’edificio, il Comune per assurdo diventerebbe addirittura creditore.
Ovviamente è chiaro come già il comma dell’art. 24 relativo alla revoca per fallimento, nasca proprio a tutela del bene pubblico contro le aggressioni dei creditori del concessionario fallito e come sia già sufficiente per difendere le casse comunali. Difatti non ci dimentichiamo che ciò vale anche per il controvalore economico del bene, perché sarebbe un controsenso difendere l’edificio per poi dover pagare un corrispettivo economico!
Inoltre la banca concesse il mutuo fondiario sapendo bene che si trattava di un programma E.R.P. (edilizia residenziale pubblica) e del finanziamento pubblico Regionale ricevuto dal suo cliente, quindi della presenza della Convenzione, in quanto è stato usato come garanzia per alzare il limite dall’80% di erogabilità massima, prevista dalla Banca d’Italia sui mutui fondiari, al 100%.
Non solo, la banca che nel 2007 concesse il mutuo fondiario al costruttore (Banca di Roma, poi Unicredit) non risulta, per stessa ammissione della Regione Lazio, tra quelle convenzionate in quel periodo per programmi d’edilizia agevolata.
Oltretutto il mutuo fondiario acceso supera il 100% del valore del bene e all’interno contiene anche quattro negozi non più proprietà, dal dicembre 2010, del fallito.
Per la Cassazione (sentenze n°17352 del 13-7-2017 e n°22466 del 24-9-2018) il mutuo fondiario che supera il 100% del valore del bene è nullo. Lo stesso viceSindaco il 23-1-2019 ha ammesso in TV che il mutuo acceso supera il valore degli appartamenti.
E anche se per assurdo il mutuo concesso dovesse rispettare tutta la normativa in materia di programmi d’edilizia agevolata, allora il mutuo godrebbe della garanzia dello Stato secondo l’art.44 della Legge n°457 del 5-8-78.
E’ evidente perciò come il mutuo da 3,8 mln, probabilmente acceso per mera speculazione in quanto già gli anticipi degli inquilini e il finanziamento pubblico Regionale avrebbero ben sopperito al costo di quanto realizzato, in caso di ricorso al TAR sulla delibera di revoca della concessione per fallimento, si potrà controbattere con efficacia per una notevole mole di motivi.
Comitato inquilini Via Berlinguer