È dal 2004, con il trasferimento dalla Darsena al Porto Romano, che Gina Cedroni in Fiorucci è stata costretta a lasciare la guida del suo ristorante, unanimemente considerato tra le pagine più luminose della storia della ristorazione di Fiumicino. “Per il suo compleanno, il 26 marzo, le sono arrivati centinaia di auguri da parte di persone che ancora la ringraziano per la sua cucina e la sua ospitalità”. A raccontarlo è il nipote, Marco Fiorucci, giovane chef e sommelier che, insieme alla sorella Martina e la cugina Allegra, brave pasticcere e responsabili della sala, sono gli eredi di una dinastia nella ristorazione arrivata alla quarta generazione. La incontriamo in quello che è sempre stato il suo posto preferito e che ha rappresentato la ragione stessa della sua vita, il bel ristorante ora sul Tevere che porta ancora orgogliosamente il suo nome, “Gina al Porto Romano”, circondata dall’affetto della sua numerosa famiglia che le ha dato la gioia di otto bisnipoti. Costretta dall’età avanzata su una carrozzina, la signora Gina possiede però ancora una mente molto lucida, uno sguardo vivace e ricordi vividi, oltre a un occhio sempre attento a ogni minimo particolare, tanto che “ancora oggi – raccontano sorridendo i figli Daniele e Cristina che con la nuora Donatella guidano il ristorante – non le sfugge nulla e se vede qualcosa non perfettamente in ordine ce lo fa subito notare”.
“Io in casa mi annoio troppo – conferma subito lei – è qui che preferisco stare più tempo che posso”. Per capire quanta strada ha fatto la signora Gina sino a giungere alla nomina di Cavaliere del Lavoro sotto la presidenza Scalfaro, senza contare le decine di riconoscimenti e attestati, bisogna ritornare al 1930, quando arrivò per la prima volta a Fiumicino da Velletri all’età di 6 anni con i genitori, Romeo Cedroni e Olga Cicala, e i fratelli Bruno, Roberto e Fernando. “Mio padre trasportava il vino dei Castelli a Roma con un carretto – ricorda Gina – finché non decise di trasferirsi qui per rilevare “L’Incannucciata”, dove è ancora oggi il ristorante e che per molti anni in seguito è stato gestito da Bruno e Roberto, ma che al tempo era una semplice fraschetta con mescita di vino”. Una scelta che Romeo, aggiunge Gina, condivise con un suo compaesano che faceva lo stesso mestiere e che decise di trasferirsi anche qui lui negli stessi anni e di aprire l’attività: Adolfo Bastianelli, altro cognome che non ha bisogno di presentazioni a Fiumicino. Mentre la figlia Cristina ce la descrive dai racconti di famiglia intenta, ancora bambina, a lavare i piatti in piedi su una cassetta per arrivare all’altezza del lavabo, il ricordo di Gina corre subito alla mamma Olga, “è da lei che ho imparato a cucinare”. Passano gli anni, finché la bella donna che era intanto divenuta non viene notata da un giovane romano frequentatore del locale che decide di non lasciarsela scappare sposandola nel ’49, Amedeo Fiorucci, scomparso nel 2002, un vero signore che ha lasciato un ricordo ancora vivo in molti a Fiumicino per la sua grande curiosità intellettuale, umanità e spirito d’amicizia. La famiglia si trasferisce per qualche anno a Roma, fintanto che il legame con il litorale e per il mestiere tanto amato non riprendono il sopravvento e spingono Gina a rilevare nel ’56 “La Spacca”, una trattoria che al tempo si trovava all’inizio di via Torre Clementina. Ma è nel giugno del ’59 la data della svolta definitiva, quando apre in Darsena “Gina Hostaria del Porto”, come volle chiamarlo il marito Amedeo e poi diventato per tanti e tanti anni il rinomatissimo “Gina al Porto”. “L’apertura coincise grosso modo con l’inaugurazione dell’aeroporto – spiega Daniele, anche lui cresciuto a sua volta nella cucina della mamma insieme alla sorella – un evento che rappresentò un cambiamento epocale per la ristorazione di Fiumicino. Sino ad allora, infatti, anche qui sul litorale la cucina era legata essenzialmente alla tradizione romana, con la netta prevalenza di piatti a base di carne; solo dopo, con l’arrivo di una clientela più vasta e internazionale, avvenne la scoperta della cucina di pesce e che trovò in Fiumicino, grazie al suo pescato, lo sbocco naturale per la sua definitiva affermazione”.
Un cambiamento che Gina Fiorucci non solo colse in pieno ma di cui è stata assoluta protagonista, tanto che ancora oggi molti dei suoi piatti sono in cima alle preferenze, a partire dalla celebre zuppa di pesce e le altrettanto rinomate minestre, come quella con arzilla e broccoli, o proposte come il risotto mari e monti con gamberi e funghi. Quello che è certamente impossibile è fare un elenco anche solo parziale di tantissimi grandi personaggi dell’arte, della politica e dello spettacolo, italiani e internazionali, che furono suoi fedeli clienti, tra cui Aldo Fabrizi, Alberto Sordi, Brigitte Bardot, solo per fare tre nomi, molti dei quali hanno voluto lasciare una dedica scritta a ringraziamento dei splendidi momenti passati nel suo locale. Per ringraziarla di persona, però, c’era un solo modo, andare a salutarla nel suo regno, la grande cucina a vista da cui Gina si staccava solo per andare a scegliere di persona il pescato sui moli e le verdure fresche. “Prima di prendere la patente – ricordano i figli –mamma si fece costruire appositamente da un fabbro una bicicletta con un cesto davanti e dietro per fare quotidianamente la spesa, per il resto della giornata, dalla mattina presto fino a notte inoltrata, sette giorni su sette, il suo posto sempre è stato il ristorante”.
Mentre parliamo Gina annuisce con un sorriso disarmante, quasi che una vita di tanti sacrifici non le sia pesato affatto, a ulteriore conferma di lavoro che per lei è sempre stato per prima cosa passione e mai solo un mestiere. Per questo, mentre guardiamo le poche foto che la ritraggono in cucina, la prima cosa che le viene da farci notare è la brillantezza delle pentole che la circondano, che in effetti riluccicano anche in foto datate, così come le mattonelle della cucina, da lei volute fino al soffitto per costringersi lei per prima a pulizie radicali. Anche se non più attiva, la signora Gina ha però avuto la fortuna di non veder dilapidata tutta la sua opera e il suo insegnamento, rimasti invece non solo custoditi gelosamente ma ancora orgogliosamente portati avanti da Daniele, Cristina e Donatella, che oltre alla contabilità ha ereditato il compito della scelta quotidiana delle materie prime, e dai loro figli che affiancano lo chef Michele, con Gina sin dagli anni ’80.
“Nostra madre ci ha insegnato che il cliente deve essere soddisfatto dal momento che entra fino al momento in cui lascia il locale – spiegano – con grande attenzione all’accoglienza e al servizio. Riguardo alla cucina non possiamo che rimanere fedeli alla sua scuola, adattandola alle diverse esigenze di una ristorazione che ha conosciuto molti cambiamenti, sia nei gusti come nelle abitudini”.
Anche per questo il volto della signora Gina esprime serenità e soddisfazione, ma nonostante tutto non ce la fa a trattenersi dall’esprimere un suo rimpianto: “Se solo avessi due gambe nuove, tornerei di corsa in cucina, quanto lo vorrei!”.